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VIZIO DI FORMA

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"VIZIO DI FORMA"
10° VOLUME
VIZIO DI FORMA

«Fare i conti planetari» è un’espressione che Levi ha coniato troppo tardi per poterla usare come slogan per Vizio di forma: per «il più trascurato dei miei libri, il solo che non è stato tradotto, che non ha vinto premi, e che i critici hanno accettato a collo torto». Sono di nuovo parole dell’autore, e viene da dire: peccato per l’editore italiano che non lo ha promosso con sufficiente energia, peccato per quelli stranieri che lo hanno lasciato in disparte, peccato per giurie e critici che non lo hanno capito, ma peccato innanzitutto per il pubblico che, salvo rare eccezioni, finora non ha avuto notizia di un libro che si direbbe pensato e scritto oggi, nel e per il mondo di oggi. Apparsi nel 1971, i venti racconti di Vizio di forma sono infatti la prima opera della letteratura italiana che si possa definire, a pieno titolo, un’opera ecologica o, per meglio dire, ecosistemica: un libro che affronta l’antropocene molto prima che esso abbia un nome, un libro firmato da un autore che, essendo un tecnologo di professione oltre che un narratore esperto, ha piena cognizione di una parola che solo da poco è entrata nel linguaggio comune: resilienza, ossia (De Mauro) «capacità di un materiale di resistere a deformazioni o rotture dinamiche» e, in senso metaforico, «capacità di riemergere da esperienze difficili». Con la sua tendenza all’autoironia e alla voce pacata, Levi si sarebbe riconosciuto in questa seconda definizione, tanto più che subito ci lancia questo avviso: «non c’è scelta, all’Arcadia non si torna, ancora dalla tecnica, e solo da essa, potrà venire la restaurazione dell’ordine planetario, l’emendamento del “vizio di forma”. Davanti all’urgenza di questi problemi, gli interrogativi politici impallidiscono».

Domenico Scarpa