LA TREGUA
LA TREGUA
Presentare La tregua impone di offrire subito, e in abbondanza, citazioni dal testo. Soltanto così si arriva a comprendere il titolo di un’opera che comincia e finisce con uno stesso incubo: dopo essere scampati alla morte in lager, dopo aver ritrovato casa propria, sognare di essere ancora svegliati dal comando dell’alba in Auschwitz, «una parola straniera, temuta e attesa: alzarsi, Wstawac». Proprio questo incubo, presente nella poesia-epigrafe e nell’ultima pagina dell’ultimo capitolo, ci consegna il significato della parola «tregua»: un breve intervallo in una guerra che non finisce mai, guerra che infatti è di nuovo in corso nella nostra Europa minacciando di cancellare due paesi e falcidiando più popoli. L’Europa del 1945 attraverso la quale Primo Levi viene trascinato in una cervellotica peregrinazione di ben otto mesi, documentata da una puntigliosa cartina, è invece una terra sconvolta da sei anni di conflitti e attraversata da orde vocianti e variopinte: «il mondo intorno a noi sembrava ritornato al Caos primigenio, e brulicava di esemplari umani scaleni, difettivi, abnormi». Colpisce, nello sconquasso di un continente, il nerbo, l’esattezza, l’allegria di questo linguaggio. Testimoniata da tre aggettivi straordinari – «scaleni, difettivi, abnormi» – è proprio questa l’essenza della Tregua, per la quale Giorgio Manganelli di aggettivi ne spende ben quattro, non meno straordinari: «furba, zingaresca, tragica e losca». Da ricordarsene quando si leggeranno le imprese del greco Mordo Nahum, del romano Cesare o del Moro di Verona. Da ricordarsene perché la dirompenza epica della Tregua non soltanto nel 1963 merita al libro la prima edizione del Premio Campiello, ma con la sua indiavolata generosità di parole preannuncia uno scrittore tutto diverso: lo scrittore fantastico che, sotto falso nome ma con identico slancio, di lì a tre anni offrirà i quindici racconti di Storie naturali.
Domenico Scarpa