LA CHIAVE A STELLA
LA CHIAVE A STELLA
Un personaggio che non si era mai visto prima, un mestiere che non era mai stato raccontato, un linguaggio che nessuno si era mai azzardato a mettere sulla carta: tutto questo offrì al pubblico Primo Levi con La chiave a stella. Era il 1978; l’anno successivo il libro avrebbe vinto il Premio Strega. Libertino Faussone si chiama il protagonista: è un montatore di impianti complessi – ponti sospesi su fiumi, piattaforme petrolifere in mare aperto, derrick, tralicci – che per lavoro gira il mondo intero, un esemplare umano (così Calvino nel presentare la Chiave) «che solo Primo Levi poteva rappresentare fino in fondo nei suoi due aspetti principali: quello dell’appassionata competenza professionale per cui ogni avventura è anche la storia d’una “performance” tecnica, una battaglia (vinta o persa) con i materiali e con le condizioni d’ambiente; e quello della vita picaresca del giramondo, del piglio divertito e ironico nell’affrontare ogni avventura cosmopolita già pregustando il piacere di raccontarla ai compaesani, di trasformarla in dialetto e in gergo».
La chiave a stella è un libro fondato sul lavoro così come la Repubblica Italiana secondo l’articolo 1 della sua Costituzione; ma, diversamente dalla Costituzione, non è scritto in “buon italiano”. Inaudita in letteratura, la parlata di Faussone è un italiano pensato in piemontese – nella sintassi, nel lessico, nella continua fioritura di espressioni idiomatiche, accensioni di colore, guizzi di saggezza e furberia – ed è il linguaggio preciso e concreto di chi è capace di pensare con le mani oltre che con la testa, un parlato che fa sul serio senza prendersi troppo sul serio.
Domenico Scarpa