IO CHE VI PARLO
IO CHE VI PARLO
Io che vi parlo è un bel titolo, un titolo in sospensione per un dialogo che non proseguì a lungo. A parlare con Primo Levi è un giovane studioso, Giovanni Tesio, di Torino anche lui. Al principio del 1987 si vedono per tre volte nella grande stanza-studio di Levi, alla presenza di un registratore acceso: obiettivo, realizzare una «biografia autorizzata». Il lavoro s’interrompe in tronco, sappiamo perché. Nel 2017 i tre dialoghi vengono pubblicati così come la sbobinatura li ha trasferiti in pagina: nessuna manipolazione, nessun taglio, zero commenti, salvo la nota preliminare, pulita quanto affettuosa, di Tesio, alla quale bisogna aggiungere un apprezzamento a lui vietato: Io che vi parlo è forse la più bella conversazione di Levi. Le ragioni? Domesticità, fiducia, libertà, assenza di premeditazione. Tutto semplice, si direbbe: due persone che si mettono a parlare in una stanza senza darsi limiti di tempo e senza nessun «piano di battaglia» (sono le parole iniziali di Levi, «Tu hai già in mente un piano di battaglia?»). Due persone, soprattutto, che parlano lo stesso linguaggio, non solo perché concittadini ma per un accordo che trova come per istinto la giusta distanza reciproca, il rapporto più sciolto e più rigoroso insieme.
Domenico Scarpa