EINSTEIN: LA LEGGE SULL’EFFETTO FOTOELETTRICO CHE HA SOVVERTITO LE CONOSCENZE SULLA LUCE
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ALBERT EINSTEIN
LA LEGGE SULL’EFFETTO FOTOELETTRICO CHE HA SOVVERTITO LE CONOSCENZE SULLA LUCE
Albert Einstein non ebbe il Nobel per la teoria della relatività, ma per la legge sull’effetto fotoelettrico, meno seducente per il pubblico generale, ma di straordinaria importanza per la fisica e per le sue applicazioni. Che i raggi luminosi, in determinate condizioni, stimolassero la produzione di elettroni da particolari elettrodi si sapeva, anche se da poco tempo, ma non era affatto chiaro in che modo ciò avvenisse. La genialità di Einstein, nel suo lavoro dell’annus mirabilis 1905 (in cui produsse fra l’altro la teoria della relatività ristretta e la famosa formula E = mc2 sull’equivalenza tra massa ed energia) fu quella di considerare la luce non più come un’onda ma come un flusso di “pacchetti” separati di particelle elementari, i quanti di luce (fotoni), come aveva da poco teorizzato Max Planck. I quanti di luce, penetrando nello strato superficiale del corpo solido, possono essere assorbiti dagli elettroni, i quali acquisiscono più energia potendosi staccare dal corpo solido e costituire una corrente elettrica. La comunità scientifica, per la quale già la teoria quantistica era vista con molta diffidenza, rimase scettica, e solo nel 1914 il processo formulato da Einstein fu confermato sperimentalmente. Con un secondo, importante risultato: dimostrò anche la validità della meccanica quantistica. Le applicazioni dell’effetto fotoelettrico sono innumerevoli: celle solari, comunicazioni con fibre ottiche, e tutti gli impieghi basati sulle trasformazioni dirette di luce in elettricità e viceversa, a partire dai led, oggi onnipresenti.